Martedì 16 febbraio ha avuto luogo su ZOOM il quinto incontro del corso di formazione “Tra Arte, Restauro e Psicoanalisi”. La professoressa Katia Brugnolo e lo psicoanalista Davide Pagnoncelli ci hanno fatto scoprire il genio di Salvador Dalì analizzandone vita e opere artistiche attraverso il rapporto tra arte e psicoanalisi. Questo ciclo di incontri terminerà il prossimo martedì 16 marzo con la figura di René Magritte. Dopo i saluti istituzionali del presidente Mario Bagnara prende la parola la prof.ssa Brugnolo per introdurci la biografia di Salvador Dalì.

Salvador Domingo Felipe Jacinto Dalí i Domènech nasce a Figueres, città della Catalogna situata nell’alto Ampurdan, l’11 maggio 1904. Il nome viene dato a Salvador in memoria del fratello primogenito morto prematuramente l’anno prima. Questo lutto segna profondamente la famiglia e soprattutto la psiche del piccolo Salvador, che i genitori considerano come il fratello redivivo. Dopo i primi tormentati anni scolastici, viene mandato nella tenuta del pittore Ramon Pichot, dove scopre e studia l’impressionismo francese. Da questa formazione iniziale nascono i primi dipinti giovanili, tra i quali Cadaques del 1922, caratterizzati dalla messa in evidenza dell’elemento luce come vuole la tecnica impressionista.
Dimostrando un talento geniale, Salvador inizia a seguire lezioni di disegno presso un artista qualificato e a partecipare a mostre collettive a soli 15 anni. Tra i primi esiti troviamo Autoritratto del 1920, quadro dallo stile impressionista che mostra il volto dell’artista immerso nella luce e nel paesaggio, cosa che lui amerà per tutta la vita. Nel 1920 il padre gli impone il trasferimento a Madrid per frequentare la Real Academia de Bellas Artes de San Fernando, dove vincerà una borsa di studio che gli permetterà di studiare a Roma quattro anni. Durante questo periodo si susseguono diversi eventi turbolenti nella vita di Dalì, prima la morte della madre e poi l’espulsione dall’Accademia a causa di una protesta da lui capeggiata. Definitivamente allontanato dall’Accademia, decide di tornare a Figueres per dedicarsi intensamente alla pittura. Frutto di questo periodo è Ritratto di mio padre del 1925, quadro che viene esposto alla sua prima mostra personale di Barcellona dello stesso anno.
Collegandosi ai drammi familiari, Pagnoncelli arriva ad affermare che l’arte di Dalì nasce molto spesso da drammi, frustrazione e da una svalorizzazione identitaria, nata dunque da eventi per i quali ci si è sentiti orfani d’identità e di emozioni. Da tutto ciò sgorga una impulsività intensa che l’artista raccoglie e canalizza verso l’arte. Dalì, quindi, utilizza inconsapevolmente i tratti della sua personalità al fine di creare arte; e lo fa non riproducendo semplicemente la realtà, ma facendola rinascere.

Brugnolo prosegue con la descrizione dei luoghi che hanno formato la personalità artistica del pittore: Port Lligat, Cap de Creus e Cadaques sono le località che lui frequenta fin dalla giovinezza, senza le quali non potremmo comprende a fondo le sue opere e la sua personalità. È lo stesso Dalì che afferma di sentirsi a casa solo in quei territori dell’alto Ampurdan, di essere legato a questa terra con un cordone ombelicale, completamente in simbiosi e in equilibrio con la variegata natura di queste zone.
Pagnoncelli conferma la presenza assidua di questi luoghi della giovinezza dell’artista nei suoi dipinti. Pur essendo diventato una star mediatica, un “divo per scelta”, Dalì è convinto che il suo trionfo l’ha conquistato solo grazie alla luce dell’Ampurdan e alla sua sposa Gala. È questa personalità dell’artista che domina l’opera e si impone su di essa. La stessa genialità artistica, la sua turbolenza e bizzarria nascondono una personalità disorganizzata e profondamente insicura. Lo stesso Dalì afferma che Gala è stata la sua salvezza dalla pazzia e da morte precoce. Nell’Autoritratto del 1921, precedentemente visto, appare il suo villaggio, che è un tema costante e rappresenta il ricorrente ritorno all’infanzia e all’ambiente familiare.

Brugnolo ci mostra che la pittura di Dalì si evolve verso una presenza quasi ossessiva del paesaggio dell’alto Ampurdan. Questa presenza viene declinata però in stili diversi: c’è un’evoluzione continua nel linguaggio artistico di Dalì, si parla infatti di maniera romantica, impressionista che poi si evolverà nel Surrealismo e Iper-surrealismo. Contemporaneamente però vediamo che è sensibile anche agli altri influssi artistici di altri autori contemporanei: nell’opera Porto di Cadaques di notte del 1918 adotta uno stile più fauvista, in cui si stagliano colori molti vivaci e brillanti e predomina l’uso del colore sulla forma. Infatti, le casette dei pescatori sullo sfondo sono prive di contorno e la forma è determinata da pennellate pastose di colore; mentre nel dipinto Donna davanti agli scogli del 1926 ritroviamo uno stile cubista.
Pagnoncelli si sofferma sul periodo surrealista di Dalì: il surrealismo puntualizza l’importanza dell’inconscio nel processo creativo, in contrasto con la ragione e la razionalità. Ecco allora la creazione di opere irrazionali, con accostamenti e associazioni inusuali, come troviamo negli orologi sciolti e molli dell’artista. L’instabilità percettiva fa creare a Dalì le sue celebri immagini doppie che si collegano e vengono poi riprese dal relativismo novecentesco, che mette in discussione l’esistenza di una realtà oggettiva universale. Lo stesso Dalì afferma che nel periodo surrealista desiderava ricreare un’iconografia del mondo interiore, il mondo fantastico, quello del padre Freud.

Procedendo con l’analisi stilistica di Dalì, la prof.ssa Brugnolo riconosce tra le influenze maggiori sull’arte del catalano, quella di Chavannes, da cui mutuò la semplicità compositiva, disegno schematizzato delle figure, assenza di profondità, tavolozza cromatica ridotta e neutralità del soggetto che è tratto dall’antichità, ricordando la statuaria greca classica; di De Chirico che fu determinante del liberare la pittura di paesaggio di Dalì dall’impasse cubista: tramite la pittura metafisica riuscì ad uscire dall’avanguardia inserendo nelle sue opere il valore dell’atemporalità della natura; e di Boecklin che, con il suo essere inquieto e inappagato, rappresenta nelle sue tele tutta la categoria degli artisti. É grazie alla pittura metafisica che il tempo diventa, nelle opere di Dalì, un tempo onirico. Osserviamo in Composizione surrealista con figure invisibili del 1936 circa una nuova duplice concezione del paesaggio: la prima, concreta, sullo sfondo del paesaggio tipico dell’Ampurdan (costa frastagliata con rocce che scendono sul mare), e la seconda in primo piano che fa da scenario con proiezioni e sogni. Quest’opera è frutto di una combinazione di associazioni stranianti e simboli pulsivi che tendono ad introdurre eros, tratti sadici, sogni e destrutturazioni spaziali e temporali. Dalì parla di “Sogni fotografici dipinti a mano” e di un “metodo paranoico critico”. Per lui la paranoia è “malattia mentale cronica, la cui sintomatologia consiste nelle delusioni sistematiche che possono prendere forma in mania di persecuzione, grandezza o ambizioni”. Ecco che nascono allora immagini dalle viscere dell’inconscio, fissate sulla tela razionalizzando un delirio che lui definì critico.

La produzione artistica di Salvador Dalì inizia ad essere analizzata seguendo una distinzione per tematiche del paesaggio, in primis quella del paesaggio come memoria-storia. Il paesaggio dell’alto Ampurdan compare nei dipinti di Dalì che guardano alla storia passata e quella attuale. Nel 1947, anno del dipinto Dematerializzazione del naso di Nerone, l’artista è in America e l’esplosione della bomba atomica avvenuta due anni prima è protagonista dell’opera. Questo dipinto mostra l’adozione dello schema prospettico rinascimentale: possiamo infatti vedere una piramide visiva tra il cubo quadripartito in basso e l’arco romano in alto. La melagrana, l’esplosione al centro del cubo, rappresenta la bomba atomica. In quest’opera quindi si fonde la tradizione classica e anche la realtà contemporanea. Nei suoi ultimi anni di vita Dalì riprende lo studio degli artisti del passato. Negli anni ’80 Dalì si sofferma maggiormente su temi esistenziali quali la vita, la morte e a tale proposito La Pietà di Michelangelo diventa il simbolo dell’umano patire. Nel febbraio del 1982 a Port Lligat dipinge Eco geologica La pietà. È una compenetrazione tra figure e paesaggio, in cui il marmo di Michelangelo si trasforma in roccia di Port Lligat che rappresenta il petto di Maria e il cuore e lo stomaco di Cristo. Pagnoncelli aggiunge che quest’opera evidenzia una personalità dirompente, straripante e maniacale che trascina con sé inquietudini e angosce perenni. Essendo il corpo rappresentato in pezzi, è presente una scissione dell’io come se fosse un delirio psicotico.

Si passa poi al tema de “il paesaggio e il male”. Il paesaggio della memoria convive in Dalì insieme agli eventi suoi contemporanei: gli orrori della Guerra Civile Spagnola iniziata nel luglio del 1936 si insinuano infatti nella bellezza del paesaggio di Port Lligat. Testimone di questa fusione è il quadro Il grande paranoico del 1936, che presenta un grande volto in primo piano replicato anche sullo sfondo a sinistra, in un’ambientazione desertica come la familiare pianura dell’Ampurdan. Il legame con il territorio è molto forte, a tal punto che gli stessi personaggi sono definiti da Dalì “autoctoni dell’Ampurdan, i più grandi paranoici”. Di questo grande capitolo fa parte anche il dipinto Spagna del 1938, dove la figura allegorica della Spagna è impersonata da un grane corpo femminile che si staglia su un paesaggio che ricorda sia l’Ampurdan che il deserto africano da cui sono partite le truppe di Franco per invadere la Spagna, presente anche nella composizione un gruppo di cavalieri in battaglia, che rimanda all’incompiuta Adorazione dei magi di Leonardo da Vinci molto ammirata da Dalì. Qui, la paranoia non è quindi considerata come solo disturbo psichico ma diventa la fonte primaria della creazione artistica. Pagnoncelli interviene dichiarando che, in tutte queste ultime opere, Dalì cerca di coniugare i due stati all’apparenza contraddittori – sogno e realtà – in una specie di realtà assoluta, una surrealtà. È verso quest’ultima che Dalì si muove. Si nota questa duplicità grazie alla presenza nei suoi quadri di immagini doppie, instabilità percettiva, miraggi, allucinazioni volontarie, sogni fotografici dipinti a mano, copri in pezzi, destrutturazioni spaziali e temporali.
Del gruppo de “il paesaggio e il male” fa parte anche Volto della guerra del 1940, dove si riconoscono le rocce di Cap de Creus. In basso a destra c’è una traccia dell’impronta della mano dell’autore, un’impronta scheletrica che ne segnala la presenza. Dalì scrive che i due motori più potenti che fanno funzionare il cervello artistico sono la libido e l’angoscia della morte, quindi è in questo tema che rientra pienamente quest’opera.

Per la sezione “il paesaggio e l’immaginario”, la prof.ssa Brugnolo ci presenta Le tre età del 1940, in cui appare un muro interrotto da aperture entro il quale compaiono i volti che corrispondono alle tre fasi della vita (infanzia, giovinezza e vecchiaia), tutte giocate sulle doppie – a volte triple – immagini. Sullo sfondo rivediamo il paesaggio dell’Ampurdan in cui domina la tonalità cupa del marrone che si estende alle rocce, ai promontori e agli scogli di Cap de Creus. Qui convivono anche personaggi familiari per Dalì, come la rammentatrice di reti in basso a destra, il bambino vestito da marinaretto che è il suo alter-ego della giovinezza e la balia. È presente anche la casa dell’artista dell’Ampurdan al centro degli occhi raffigurati nel dipinto.

Dopo l’invasione della Francia, Dalì si reca a New York dove le sue mostre personali aumentano notevolmente la sua popolarità, diventando così un fenomeno di massa. Negli ultimi anni produce arte con una connotazione mistica e religiosa che lui chiama “nuova era della pittura mistica”, dove cerca di connettere passione per la scienza, la religione e per i maestri della pittura, fino a pubblicare nel 1951 “Manifesto Mistico” per legittimare la sua pittura su temi religiosi ispiranti ai grandi artisti del rinascimento.

Il tema “paesaggio e desideri” è reso noto dall’opera Dalì galleggiando su Port Lligat e il Dalilips del 1975, realizzato tramite la tecnica olio su fotomontaggio digitale. È durante il suo viaggio a Londra verso la fine degli anni ’30 che scaturiscono molto idee per la produzione di mobili e oggetti surrealisti, tra cui entra anche il Dalì lips. In quest’opera la protagonista è sempre la spiaggia di Port Lligat, a cui si riferisce anche il divano in primo piano: è lo stesso Dalì che afferma di aver concepito un’oggetto morbido in cui sedersi per ovviare al problema della scomoda seduta delle rocce della baia.

L’ultimo tema presentato dalla docente Brugnolo è “il paesaggio e il vuoto”, ciò che c’è ancora e ciò che non esiste più. Dalì parla spesso nei suoi scritti dei fantasmi della sua infanzia: in Tavola solare del 1936 allude infatti al Golfo de Rosas, una spiaggia in costa brava da lui molto amata. A questa località si ispira per creare una serie di dipinti, i “quadri bianchi”, in cui ci sono scenari marini immersi in luce malinconica del tramonto. Sono delle vere e proprie allucinazioni, come Tavola solare: sembra infatti di essere davanti a un miraggio. L’artista è autoritratto nel ragazzo di spalle a destra che sta osservando l’amato promontorio. Ai suoi piedi sono presenti alcuni reperti archeologici che rappresentano l’antica storia di questo territorio, legata alle dominazioni fenice e greco-romane, e un pacchetto di sigarette Camel che ci riporta alla contemporaneità. L’ultima opera analizzata è Coppia con la testa piena di nuvole del 1937, un dittico composto da due tavole raffiguranti ciascuna la silhouette di un uomo. Uno dei due è più esile dell’altro, probabilmente perché Dalì sta raffigurando la relazione archetipa padre-figlio, letta alla luce degli studi freudiani. Lungo questa stessa linea Dalì introduce nelle sue opere di fine anni ‘20 il tema del Guglielmo tell, interpretato come figura del padre autoritario e prevaricatore. Sullo sfondo compaiono delle rocce dell’alto Ampurdan che si stagliano su un cielo coperto di nuvole che ricordano i dipinti di Magritte.

Questo quinto appuntamento si conclude con un omaggio della prof.ssa Brugnolo che ci mostra le sue sculture Mani-Danza del 2019, vincitrici del Premio Arte della fondazione Mazzoleni e definite surrealiste dalla critica. Pagnoncelli recita invece una sua poesia dal titolo “Dalì verso aldilà onirici”.

Noemi Zaupa

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