Martedì 9 marzo si è tenuta la prima conferenza Zoom frutto della collaborazione tra l’associazione Amici dei Musei di Vicenza, il Museo Diocesano di Vicenza e il Museo Naturalistico Archeologico. I grandi protagonisti di questo appuntamento serale sono stati il Complesso di Santa Corona e l’altare Corberelli, presentati dalla dott.ssa Manuela Mantiero del Museo Diocesano e dal prof. Francesco Mezzalira, biologo e docente di Scienze.
Il primo a prendere parola, però, è stato il Presidente Mario Bagnara che, durante i tradizionali saluti istituzionali, approfitta della speciale occasione per aggiornarci sulla recente aggregatio del Museo Naturalistico Archeologico all’Associazione.

La dott.ssa Mantiero ci abbaglia e ci ipnotizza fin da subito con le sue parole e le sue spiegazioni: la relazione tra Museo Diocesano e Chiesa di Santa Corona nasce quando, in occasione di alcuni restauri, i capolavori presenti nella Chiesa vengono trasferiti e conservati al Museo, i cui collaboratori interni possono ora usufruirne al meglio per studiarli. E per fortuna, aggiungerei, visto che la dott.ssa continua mostrandoci e spiegandoci la bellezza e la storia di queste opere d’arte. Prima tra tutti è il Reliquiario della Sacra Spina, opera maestra dell’oreficeria veneta, che, nell’incastonato medaglione francese, dal 1260 ospita all’interno la reliquia della spina. Grazie a quest’opera d’arte giunta a Vicenza in quegli anni, il vescovo Bartolomeo da Breganze commissiona la costruzione di una chiesa per poterci conservare il Reliquiario al suo interno: si erige così la Chiesa di Santa Corona. Tuttavia, la storia della reliquia non si limita qui.

Nel 1255, pur necessitando – a Vicenza – di una forte presenza del clero, Bartolomeo da Breganze non può prendere possesso della cattedra episcopale vicentina a causa della presenza in città di un acerrimo nemico del papato, Ezzelino da Romano. Viene quindi inviato come nunzio apostolico del papa a Londra, dove ci rimane fino alla morte di Ezzelino nel 1259, anno in cui si affretta a tornare a Vicenza. Sulla strada del ritorno, Bartolomeo sosta a Parigi per salutare il suo amico Luigi IX re di Francia, che gli dona la spina della corona di Cristo, portata al collo da Bartolomeo (dentro al medaglione francese precedentemente visto) fino al suo rientro in città. Una volta a casa, il futuro vescovo riceve in eredità da Ezzelino tutti i beni della famiglia Da Romano per poter costruire una chiesa domenicana, destinata a custodire la reliquia della spina: la Chiesa di Santa Corona.
L’ingresso di Bartolomeo in città è testimoniato da un’altra opera presente al Museo, una tela del pittore vicentino Giovanni Antonio de’ Pieri, in cui l’artista dipinge sullo sfondo il campanile di Santa Corona e la torre di Piazza Castello (non ancora costruiti a quel tempo) come simboli per riconoscere la città di Vicenza.

Finalità dei Domenicani, ordine di frati predicatori a cui apparteneva anche Bartolomeo da Breganze, era quella di portare sulla retta via – quella della Chiesa di Roma – gli eretici. Non a caso la Chiesa di Santa Corona sorge su un luogo che, al tempo di Ezzelino da Romano, ospitava la sede dei Catari, eretici il cui scopo principale è il rinnovamento religioso della chiesa di Roma.
In questo periodo di grande rinnovamento, politico, urbanistico e spirituale, è la presenza degli ordini mendicanti di dipendenza diretta del papa – quali Domenicani, Francescani e Agostiniani – a diventare fondamentale. Ad aiutare la reputazione dei predicatori, oltre al fatto di essere ben voluti dal volgo per il loro aiuto concreto e diretto verso i poveri, c’è la cattiva stima dei vescovi da parte del popolo, spesso considerati corrotti, non leali e alle strette dipendenze della nobiltà.
Ancora, l’arrivo a Vicenza di questi ordini ha l’obiettivo principale di evangelizzare il borgo. Proprio per questo motivo gli ordini mendicanti si collocano in punti geograficamente strategici: il loro modus operandi prevede la costruzione delle proprie chiese all’interno delle mura ma vicino alle porte della città, al fine di poter uscire dalle mura cittadine e compiere la propria missione, evangelizzare il popolo. In questo modo, il nucleo urbano, da monocentrico tipicamente alto-medievale, diventa policentrico: i poteri civile e religioso (rappresentati dal Palazzo della Ragione e dalla Cattedrale) presenti al centro della città vengono suddivisi in più parti a causa della costruzione dei conventi dei tre ordini mendicanti. Quindi, di fatto, c’è uno spostamento fisico del potere religioso, che porta a relegare la zona di diretta influenza del Vescovo ad un solo angolo della città. Inoltre, osservando la Carta Angelica, la dott.ssa Mantiero ci fa notare che il borgo, all’altezza delle porte della città, quindi vicino a dove si collocano i conventi, si è riversato all’esterno delle mura cittadine, spostando la vita urbana anche verso la periferia.

Avendo terminato l’analisi storica della costruzione della Chiesa di Santa Corona, la dott.ssa continua descrivendo l’architettura del complesso: con la sua influenza lombarda e, più specificamente, cistercense, Santa Corona ci mostra ancora oggi il suo impianto architettonico duecentesco. La facciata, invece, è frutto di un rimaneggiamento tardo ottocentesco di Luigi Toniato, che ha rinnovato il rivestimento in laterizio e ha inserito la scultura del Solveni, Il Cristo coronato di spine, sopra il portale, proprio per la presenza della reliquia della spina all’interno dell’edificio. Anche la Cappella Maggiore e la cripta sottostante sono un’opera più tarda: vengono edificate a partire dal 1479 da Lorenzo da Bologna per sostituire il precedente abside. Ed è proprio in questa nuova abside che si innesta l’altare maggiore, protagonista del successivo intervento del professore Mezzalira.

Le bellezze di Santa Corona non terminano qui: la nostra guida “virtuale” procede – e conclude il suo prezioso intervento – con la descrizione dell’apparato decorativo della chiesa. Inizia proprio con il celebre dipinto Il Battesimo di Cristo di Giovanni Bellini, l’opera più importante e conosciuta di quelle conservate in questo luogo sacro. Tuttavia, le altre opere non sono di meno prestigio. Si ricorda, infatti, l’Adorazione dei Magi di Veronese e la Sacra Conversazione di Bartolomeo Montagna, la cui committente, la vedova Piera Porto, si fa ritrarre nei panni di Santa Monica, protettrice delle vedove, per chiedere la resurrezione del marito e il protettorato sulla sua vedovanza.
Ancora, la Cappella Valmarana che, secondo gli studiosi, sarebbe frutto del Palladio e la Cappella Thiene con gli affreschi del tardo-medievalista Michelino da Besozzo. La dott.ssa si sofferma, però, sul dipinto su tela della Madonna delle Stelle, pala trecentesca dell’artista Lorenzo Veneziano, la cui rarità non è data solo dalla tecnica di realizzazione, in quanto nel Trecento quasi nessuno dipingeva su tela, ma anche dall’iconografia: è infatti tipica dell’ambito domenicano e, soprattutto, del Nord Italia, dove si è diffusa durante il Trecento. Se altre versioni sono andate perdute con la Riforma delle Immagini del Concilio di Trento, questa Madonna che mostra il seno, simbolo di umiltà, invece, è rimasta fino ad oggi. Notiamo inoltre diversi simboli: la luna ai suoi piedi, il sole raggiato sul collo e, nella versione originaria, una corona con dodici stelle sul suo capo, che la rendono, quindi, anche la donna dell’Apocalisse. Verso il 1520 quest’icona viene rimodernata: viene chiamato il pittore vicentino Marcello Fogolino (1485- ?) per far riemergere una nuova immagine dalla tela, quella della Regina Coeli, come si può leggere dal cartiglio in alto. Inoltre, la veduta di Vicenza che si vede in basso è simbolo di protezione che la città chiede a Maria. Sebbene l’immagine più nota di Maria come protettrice della città di Vicenza sia quella della Madonna di Monte Berico, il cui manto protegge tutti i fedeli, la Madonna delle Stelle è individuata come protettrice dell’intera città e dell’intera comunità dei fedeli, che è infatti rappresentata ai suoi piedi.

Il professore Francesco Mezzalira prende la parola per illustrarci e farci conoscere un altro dei gioielli di Santa Corona, l’altare Corberelli. Quest’ultimo, con le sue tarsie lapidee e il suo apparato iconografico naturalistico – oltre che soggetto di una campagna fotografica – è anche al centro di uno studio storico da parte del nostro biologo, volto a collocare l’altare nella prospettiva evolutiva dell’antica tecnica del “Commesso Fiorentino”, prima utilizzata prettamente in ambito principesco ed ora commissionata anche in ambito religioso.
A testimonianza delle ricerche e del suo interesse condivide con noi un video da lui realizzato (che potete visionare su YouTube cliccando qui): La fauna simbolica dell’altare Corberelli. In questa rassegna fotografica commentata, scopriamo che l’altare maggiore di Santa Corona è stato realizzato secondo la tecnica sopracitata dal fiorentino Antonio Corberelli tra il 1670 e il 1686 (come riporta un’iscrizione in una sua lapide) con l’aiuto di alcuni suoi fratelli.
Mezzalira si sofferma però sulla parte naturalistica dell’apparato iconografico e, nello specifico, sul tema della zoo-iconologia, lo studio dei significati delle rappresentazioni animalistiche. Il primo esempio è dato da un cane che insegue una lepre, il cui significato – secondo un gioco di parole con la parola “Domenicani” – rimanda al ruolo di difensori che l’ordine religioso detiene (come il cane che insegue la lepre, simbolo di lussuria, per scacciarla e ucciderla). Più in alto nell’altare si può vedere l’immagine di un unicorno che purifica l’acqua immergendo il suo corno. Al tempo, si riteneva che il suo corno avesse il potere speciale di neutralizzare i veleni, considerando quindi l’animale come simbolo cristologico. Anche il bianco agnello realizzato nell’ultimo gradino della scalinata è un tradizionale simbolo di Cristo, in quanto vittima sacrificale per la salvezza dell’umanità. Il simbolismo religioso non è però presente solo in raffigurazioni animali: anche la spiga di grano e il grappolo d’uva rimandano ad un significato superiore, quello del vino e del pane dell’eucarestia, quindi al corpo e al sangue di Cristo. Oltre al cardellino, anche la passiflora è simbolo della passione di Cristo. Tuttavia, questo simbolo legato al mondo vegetale è più recente: il fiore della passione è stato infatti scoperto in America solo dopo lo sbarco di Colombo. Altre piante, invece, sono state realizzate con un intento puramente decorativo.
Tuttavia, animali e piante non sono gli unici protagonisti di quest’immenso e ben conservato apparato iconografico: in una lastra lapidea troviamo infatti la raffigurazione della scena della donazione della reliquia da parte del Re di Francia al futuro vescovo Bartolomeo da Breganze.

L’interessante conferenza termina con le parole del Presidente Bagnara, che ci informa sulla volontà dell’Associazione di portarci a scoprire dal vivo le magnificenze della chiesa. Gli Amici dei Musei di Vicenza hanno infatti in programma una visita guidata della chiesa di Santa Corona, una bellissima passeggiata nel centro città per conoscere i tesori artistici ed architettonici di cui è composta.

Noemi Zaupa

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