“Alla scoperta di Antonio Caregaro Negrin a Maddalene con Luca Trevisan”

La prossima uscita culturale che vi proponiamo dal titolo “Alla scoperta di Antonio Caregaro Negrin a Maddalene con Luca Trevisan” sarà una passeggiata mattutina culturale a Maddalene accompagnati dal prof. Luca Trevisan, prima a Villa Panizza e poi alla Chiesa di Maddalene Vecchie.

Villa Panizza è una delle ultime opere dell’architetto Antonio Caregaro Negrin. Completata nel 1886 per il liberale Panizza, la villa sorge rialzata sulle pendici del monte Crocetta dove sembra dominare la vasta campagna circostante con il suo stile dal sapore lombardesco. Anche gli interni della villa sono stati pensati e arredati dall’architetto vicentino, il cui eclettismo è evidente in ogni angolo della magione.
La visita proposta costituisce certamente un approfondimento interessantissimo sulla figura di Antonio Caregaro Negrin, che lo studioso Luca Trevisan ha preso in esame nelle sue recenti indagini, pubblicate nel fortunato libro Antonio Caregaro Negrin. Eclettismo e architettura a Vicenza (Cierre edizioni, 2022).
La villa sarà visitabile in via del tutto eccezionale grazie alla disponibilità della famiglia Bono!

L’uscita culturale prevede poi una seconda tappa alla Chiesa di Maddalene Vecchie, dove a guidarci sarà lo storico Giorgio Sinigaglia del “Comitato per il recupero del complesso monumentale di Maddalene”.
Si tratta di un antichissimo complesso. Sembra che una piccola cappella, affiancata da un “ospitale”, siano stati costruiti intorno all’anno 1000 su un rilievo alle pendici del Monte Crocetta, appartenente all’abbazia benedettina dei Santi Felice e Fortunato. Di questa cappella parla il vescovo Astolfo nel 1033, quando in un suo Privilegium afferma di aver concesso, sempre ai benedettini, monticellum iuxta Civitalum cum capella…

…venite a scoprire con noi il seguito di questa storia avvincente sabato 20 maggio 2023 a Maddalene. Vi aspettiamo numerosi!

INFO
Ritrovo ore 9.30 presso il parcheggio della chiesa parocchiale di Maddalene.

L’adesione può essere comunicata via mail all’indirizzo info@amicimuseivicenza.it o telefonicamente al numero 3274124008.

La quota di partecipazione è di 15€ per i soci, 20€ per i non soci.

Il versamento può essere fatto tramite bonifico bancario intestato a Amici Musei Vicenza (IBAN: IT03Y0306909606100000151783) o in sede (via Arzignano 1, Vicenza) nei giorni di apertura.

SECONDO NUMERO DELLA RIVISTA “NOI, AMICI MUSEI – VICENZA”

Cari Amici,
Vi presentiamo il n°2 della sua rivista on-line NOI, AMICI DEI MUSEI – Vicenza.
La rivista avrà una periodicità quadrimestrale.
Vi terremo aggiornati su eventi culturali ed artistici, presenteremo testi di divulgazione di autori selezionati, vi illustreremo la programmazione di visite guidate, conferenze in presenza e on-line da noi promosse.

POTRETE TROVARE TUTTI I NUMERI NELLA SEZIONE RIVISTA DI QUESTO SITO

Il Direttore della Rivista Mario Bagnara
La Redattrice Manuela Omenetto

BUONA LETTURA

AL VIA LA SECONDA PARTE DEL 10° CORSO DI FORMAZIONE – PRIMO INCONTRO – 21/02 Vincent Van Gogh: “Sogno di dipingere e poi dipingo il mio sogno”

dal Giornale di Vicenza del 20/02/2023

ARTE E PSICOANALISI

Inizia domani, 21 febbraio, alle 15.30 nel salone di palazzo Chiericati, a Vicenza, la seconda parte del 10° corso di Formazione “Arte e Psicoanalisi”, proposta dagli Amici dei monumenti, dei musei e del paesaggio con il patrocinio, la collaborazione e l’ospitalità del Comune e la direzione dei Musei Civici di Vicenza. Per il terzo anno protagonisti saranno pittori dell’età contemporanea, illustrati anche dal punto di vista psicoanalitico da Katia Brugnolo, docente all’Accademia di Belle Arti di Verona e vicepresidente dell’associazione Amici, e da Davide Pagnoncelli, psicoanalista, in collegamento on line da Bergamo, ad inaugurare anche il nuovo sistema wi-fi del museo. Dopo Joan Mirò, Salvador Dalì, René Magritte, Marc Chagall, Giorgio De Chirico e Francis Bacon, protagonista domani con alcuni tra i suoi capolavori, sarà Vincent Van Gogh con la sua dichiarazione “Sogno di dipingere e poi dipingo il mio sogno”. L’avventura esistenziale di Van Gogh, il tema della solitudine nell’epoca della società di massa si rispecchiano nelle opere dell’artista, visioni oniriche in cui sfera emotiva e realtà si fondono suscitando profonde suggestioni negli osservatori. Sarà quindi offerta una nuova interpretazione visiva e simbolica di un capolavoro dell’artista. I prossimi incontri il 28 marzo su la pittura di Paul Gauguin e il 2 maggio su Edward Munch.

LA CROCE MISTERIOSA SULLA MANO DI GORDINA MODELLA DI VAN GOGH

Dopo l’esperienza vissuta a contatto con i minatori nel Borinage, in cui si dedicò “con ardore fanatico” al suo “impegno di dedizione cristiana al prossimo”, Vincent van Gogh dal 1881 iniziò a ritrarre contadini al lavoro, in paesaggi con piccole casupole e stradine di campagna a Etten, nel Brabante, tornando a vivere nella casa paterna.Erano anni tristi per lui, sia per la difficoltà di affermarsi come artista, sia per i litigi con il padre con cui il rapporto andò sempre più logorandosi. Vincent era povero, ma animato da una fede profonda e dalla volontà di seguire le orme paterne diventando pastore protestante e per questo nel 1877 aveva seguito a Bruxelles un corso di lezioni in una scuola di evangelizzazione, con l’obiettivo di diffondere il Vangelo tra i poveri.Dopo ulteriori scontri con il padre, nel 1884 Vincent tornò a vivere con i genitori, a Neunen, nel Nord Brabante, dove il padre aveva assunto l’incarico di pastore.Nell’inverno 1884 Vincent disegnò molti ritratti di contadini, mirando a comporre un gruppo all’interno di una casupola. Scrive al fratello Theo: “…Al momento dipingo non soltanto finché c’è giorno, ma anche di sera alla luce della lampada, nelle case dei contadini, sino a quando riesco a malapena a distinguere i colori sulla tavolozza, e questo per capire il più possibile i particolari effetti prodotti dall’illuminazione notturna, per esempio, una grande botta d’ombra sul muro.”In vista della realizzazione del suo capolavoro – I mangiatori di patate – eseguì disegni preparatori, anche di particolari, come le mani dei personaggi. Realizzò ritratti a mezzobusto di uno dei personaggi, Gordina de Groot, la giovane che appare frontalmente a sinistra, e un Primo studio su tela con quattro personaggi invece che i cinque della versione definitiva.In una successiva lettera a Theo, il 9 aprile 1885, Vincent così scrive: “Sono appena tornato a casa da lì- e ci ho lavorato ulteriormente alla luce della lampada-anche se questa volta l’ho iniziato alla luce del giorno…Nel punto in cui mi trovo ora, però, vedo la possibilità di dare un’impressione emotiva di ciò che vedo”.Osservando, infatti, la celebre opera I mangiatori di patate, conservata al Museo van Gogh di Amsterdam, notiamo profondi contrasti chiaroscurali che investono sia le figure che la povera ma decorosa stanza, “botte” d’ombra sul muro che accrescono la resa emotiva della scena. I volti dei cinque personaggi, che rappresentano i componenti della famiglia De Groot, mostrano volti “scolpiti” da ombre profonde, che scavano i loro lineamenti. Pennellate saettanti modellano le mani nodose e deformate dal duro lavoro e dalle condizioni di vita.Gli sguardi e i gesti amorevoli e pacati dei protagonisti creano un dialogo che li unisce mentre sono intenti a dividersi fraternamente, secondo l’esempio evangelico, ciò che la povera mensa offre.La stanza è invasa dal vapore di un piatto di patate, posto al centro della tavola e di cui scrive Vincent in una sua lettera a Theo: “…Se un quadro di contadini sa di lardo, di fumo, di vapore di patate, meglio, non è per niente insano”.Una lampada a petrolio pende al centro del soffitto e illumina l’ambiente con luce fioca.La luce baluginante ci evidenzia una dettaglio importante sulla parete, in alto a sinistra: un piccolo quadretto con una crocifissione. Risalta la croce, si intravvedono le due figure ai lati: tradizionalmente la Vergine Maria e San Giovanni Evangelista. Emerge un altro particolare importante, da collegare al quadretto, simbolicamente ma anche visivamente con una diagonale immaginaria: è una piccolissima croce, dipinta in giallo tenue, sul dito medio della mano sinistra di Gordina de Groot, la giovane donna con il copricapo invernale tipico delle contadine del Brabante, un’ampia cuffia bianca (è la sua modella nella tela La contadina, 1885).Si vociferava che con lei Vincent avesse avuto una relazione, cosa che lui smentì. A lei l’eccezionale artista dedica infatti almeno un paio di ritratti singoli, a mezzobusto, conservati in una collezione privata a Santa Barbara, in California, e alla National Gallery di Edimburgo.Il personaggio, quindi, doveva certamente rivestire un significato speciale per Vincent e la piccola croce sul dito medio della mano sinistra ne è testimonianza..

PRIMO NUMERO DELLA RIVISTA “NOI, AMICI MUSEI – VICENZA”

Cari Amici,
Vi presentiamo il n°1 della sua rivista on-line NOI, AMICI DEI MUSEI – Vicenza.
La rivista avrà una periodicità quadrimestrale.
Vi terremo aggiornati su eventi culturali ed artistici, presenteremo testi di divulgazione di autori selezionati, vi illustreremo la programmazione di visite guidate, conferenze in presenza e on-line da noi promosse.
Questo numero di fine anno presenta, tra altri articoli, una panoramica di alcuni tra i più significativi eventi del 2022: dagli “intensi ed avvincenti” spettacoli teatrali e musicali al Teatro Olimpico, così definiti dal Presidente dell’Associazione ed autore dell’articolo Mario Bagnara che ha così avuto modo di sottolineare l’importanza dei recenti restauri al suo ingresso (Portale e monumento di F. Lampertico); alle varie manifestazioni culturali legate all’evento Pigafetta 500, ben descritte da Francesco Mezzalira; al VI-ceramica – festival della ceramica, raccontato e vissuto in prima persona da Katia Brugnolo; al progetto Siti&Museo: l’archeologia dal vivo: una serie di escursioni e visite guidate a vari siti, ben presentato da Donata Fiorentin.

POTRETE TROVARE TUTTI I NUMERI NELLA SEZIONE RIVISTA DI QUESTO SITO

Il Direttore della Rivista Mario Bagnara
La Redattrice Manuela Omenetto

BUONA LETTURA

 

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10° CICLO DI INCONTRI

Il corso sarà dedicato a episodi significativi nel campo delle arti e della cultura, con un approccio interdisciplinare “tra Arte e Psicoanalisi”, come appare sin dal titolo. Esso – per un totale di sei incontri – si articolerà in due sezioni.

La prima, con il prof. Luca Trevisan, indagherà e approfondirà alcune problematiche inedite o poco note di arte e architettura di età moderna, coinvolgendo figure di spicco ed episodi particolarmente significativi di ambito veneto e internazionale.

La seconda, con la prof.ssa Katia Brugnolo e il dott. Davide Pagnoncelli, prevede lo studio di tre celebri artisti contemporanei – Vincent Van Gogh, Paul Gauguin e Edvard Munch – orchestrato su due fronti diversi, ma complementari: della Storia dell’arte e della Psicoanalisi.

“Tra Arte e Psicoanalisi” è, quindi, una sorta di viaggio in parte nel passato ed in qualche modo nel futuro, perché, grazie alla ricchezza di collegamenti forniti dalle tematiche proposte, ci porterà alla scoperta di nuove prospettive di
lettura dell’opera d’arte.

Info

Gli incontri si svolgeranno nel Salone d’Onore di Palazzo Chiericati, gentilmente concesso dal Comune di Vicenza, che ha patrocinato l’iniziativa.
La partecipazione al corso è gratuita. Ingresso libero fino ad esaurimento posti. Le conferenze saranno della durata di un’ora e mezza circa.

27 OTTOBRE | Presentazione volume “Fedele Lampertico 1833-1906” di Giorgio Ceraso e inaugurazione restauro monumento Fedele Lampertico

Giovedì 27 ottobre 2022 alle ore 15.30
nel Salone d’Onore di Palazzo Chiericati si svolgerà la presentazione del volume
Fedele Lampertico 1833-1906. Un grande vicentino da rivalutare
di Giorgio Ceraso
(la pubblicazione sarà distribuita a tutti i presenti)
L’incontro sarà preceduto dall’inaugurazione da parte del sindaco Francesco Rucco alle ore 11.00 del restauro del monumento di Fedele Lampertico in Piazza Matteotti curato da Engim Veneto Professioni del restauro di Vicenza.

Le due iniziative sono frutto di una sinergia tra
Amici dei Monumenti di Vicenza e Lions Club Vicenza Host

Visita a villa Valmarana a Lisiera e agli affreschi di Ubaldo Oppi a Bolzano Vicentino

I Soci dell’Associazione Amici dei Musei di Vicenza, domenica 9 ottobre hanno avuto l’onore di essere invitati alla tradizionale Tornata esterna dell’Accademia Olimpica, quest’anno a Bolzano Vicentino per i dipinti e i bozzetti di Ubaldo Oppi, e nella splendida Villa Valmarana di Lisiera, per un viaggio con Scamozzi e Palladio. Grazie al Comune di Bolzano Vicentino per la collaborazione, ai proprietari della Villa per la squisita ospitalità.
#villavalmaranazen
#amicimuseivicenza
#AccademiaOlimpica
#comunebolzanovicentino

Le Via Crucis artistiche nel vicentino- Conferenza del 13.04.2021

Martedì 13 aprile, sulla piattaforma Zoom e in collaborazione con il Museo Diocesano di Vicenza, si è tenuto un incontro online dedicato alla storia e all’arte della Via Crucis, durante il quale la Dott.ssa Manuela Mantiero e Mons. Gasparini, successivamente ai saluti istituzionali del Presidente Sig. Bagnara, hanno tracciato un profilo storico e artistico delle Via Crucis del vicentino, analizzando alcuni esempi presenti nel territorio, al fine di evidenziarne genesi, evoluzione e significati artistici.

La storia della Via Crucis parte dalla storia della pellegrina spagnola Egeria, una scrittrice romana e autrice di un Itinerarium in cui racconta il suo viaggio nei luoghi santi della cristianità, che si era recata in Palestina per cercare di ripercorrere il percorso di Gesù, delineato a partire dal pretorio, fatto giungere fino al luogo del calvario e poi conclusosi alla tomba: era una peregrinatio che questi pellegrini facevano nei santuari a Gerusalemme e che poi, tornati a casa, cercavano di riprodurre, come accade a Roma o nelle sette chiese di Santo Stefano a Bologna. Questi pellegrini, dunque, rappresentano i prodromi della Via Crucis, che diventa importante perché, a partire dall’XI secolo, abbiamo una devozione alla passione di Cristo, quindi al Gesù sofferente in particolare. In questo caso, è San Bernardo uno dei principali precursori della passione redentrice di Gesù. Tuttavia, è San Francesco d’Assisi che diede il via alla Via Crucis, questo percorso in ricordo alla passione di Cristo. Questa sua devozione principale la vediamo nel Crocifisso di Santa Chiara d’Assisi, dove è raffigurato mentre bacia i piedi di Cristo. Anche nella Croce di Trevi del 1315 circa, il Santo è raffigurato ai piedi di Cristo, che quasi sembra berne il sangue che esce dalle ferite.

Nel 1233, i frati francescani saranno stabilmente presenti in Terrasanta: forse è questo il momento della genesi della Via Crucis. Inoltre, anche le successive crociate renderanno importante questa devozione al pellegrinaggio e alla Via Crucis a partire dal XII secolo.

Questa realtà diventa parte anche della pietà del mondo cristiano: inizialmente c’era una devozione alle cadute di Cristo durante la sua passione, fissate ora nel numero di 3. L’altra devozione che incontriamo è quella per gli spostamenti di Gesù, secondo la quale i fedeli, il Venerdì Santo, avrebbero dovuto visitare tante chiese quanti erano gli spostamenti riconosciuti.

Beato Alvaro de Zamora è il primo che dà vita a una Via Crucis articolata: nella città di Cordoba fa costruire una serie di cappelle che vanno dalla preghiera di Gesù nell’orto degli ulivi fino alla deposizione nel sepolcro. Egli è sicuramente l’ispiratore della Via Crucis, anche se quest’ultima verrà realizzata sicuramente molto più tardi: solo alla fine del Cinquecento, infatti, incontriamo in Spagna la Via Crucis composta da 14 stazioni, la quale si sposterà in Sardegna nel 1616 per arrivare poi nella penisola italica. La diffusione della Via Crucis è da attribuire da Leonardo da Porto Maurizio, un frate minore riformato francescano, ideatore e promotore della pratica della Via Crucis, che ne realizzò una al Colosseo su commissione di papa Benedetto XIV: iniziò così una tradizione annuale di Via Crucis al Colosseo. Sarà proprio questo papa che, con una bolla papale, definirà la Via Crucis con 14 stazioni. Questa pratica, tuttavia, non sarà gradita nel nord Europa: in Austria, Germania e nel Tirolo continueranno a mantenere una tipologia di Via Crucis composta da un numero minore di stazioni, in quanto si attenevano al Vangelo e in quest’ultimo non sono presenti alcuni episodi riconosciuti invece dalla tipologia di Via Crucis adottata dal papa.

Un caso particolare è riscontrabile nella chiesa di Santa Maria di Brancafora o Pedemonte: c’è una Va Crucis che rispetta le tipologie del mondo austriaco e, quindi, è difficile definire se questa sia stata fatta prima della bolla di Benedetto XIV o in un momento successivo, quando il giansenismo rifiutava i seguenti episodi della Via Crucis introdotti dal papa: Gesù nell’orto degli ulivi con gli apostoli e l’angelo con il calice in mano, la flagellazione del Cristo alla colonna e la condanna di Pilato.

La data del 1742, anno in cui Benedetto XIV emana la bolla papale definendo la Via Crucis, non a caso corrisponde alla data della prima attestazione di rappresentazione della Via Crucis a Vicenza: si tratta del ciclo di 14 telette di Costantino Pasqualotto ancora conservate nella chiesa di San Giuliano a Vicenza.

Costantino Pasqualotto, nato nel 1681, è definito come il maggiore artista presente a Vicenza dalla cronaca del tempo. Tuttavia, ebbe esiti altalenanti. La sua pittura si rifà sicuramente a Giulio Carpioni, anche se viene mediata dall’arte di Giovanni Antonio de’ Pieri, artista verso cui Pasqualotto guarderà per tutta la vita, soprattutto dagli anni ’20 del Settecento. Nel Transito di San Giuseppe vediamo alcuni suoi stilemi compositivi che si ripetono costantemente: il candore nei volti delle donne e i pomelli rosati delle gote. Tuttavia, nella sua produzione non mancano interessanti sperimentazioni, come accade nella Via Crucis di San Giuliano: nella rappresentazione di queste nuove stazioni si cimenta prima ancora di quei cicli veneziani di Tiepolo. Quindi, il modello di Via Crucis di Pasqualotto per San Giuliano è uno tra i primi realizzati in Veneto, ripreso a più mandate da molte chiese cristiani negli anni successivi.

Le sue tele della Via Crucis sono animate da accordi luminosi brillanti e la collocazione della croce è studiata in modo da creare un certo movimento in ogni singolo episodio. La definizione dei contorni è precisa e Pasqualotto, infatti, dedicata una particolare attenzione alla ricerca degli accostamenti cromatici. La stazione con una qualità pittorica maggiore rispetto alle altre è probabilmente la prima, in cui si può notare il cromatismo cangiante tipico di Pasqualotto. La cosa interessante di questa serie è l’ideazione dei soggetti, che poi andranno ripetendosi in moltissime altre chiese del territorio: altri artisti ripeteranno i modi compositivi di Pasqualotto, in quanto egli aveva creato il primo modello di riferimento della via Crucis.

Costantino Pasqualotto, secondo l’attribuzione di Mario Saccardo, realizza la prima Via Crucis che si avvicina alla sua precedente per la chiesa di San Giuliano. Questa serie viene realizzata nel 1747-48 per la chiesa parrocchiale di Povolaro e poi regalata da quest’ultima alla Cattedrale di Vicenza in occasione della sua riapertura dopo la Seconda Guerra Mondiale, durante la quale molte opere d’arte presenti all’interno erano state distrutte.

In questo ciclo pittorico notiamo un’evoluzione della mano di Pasqualotto: c’è una maggiore libertà espressiva, le pennellate sono più rapide e veloci, la resa drammatica è più incisiva, il tono narrativo è più scorrevole e il cromatismo è più sciolto, non c’è più il contorno preciso di San Giuliano. Se si confrontano le prime stazioni dei due cicli si osserva, infatti, una resa drammatica e una resa cromatica differente. La seconda serie è più elementare e sintetica ma con un’assoluta esaltazione della drammaticità.

Una novità del secondo ciclo è data dall’introduzione di un personaggio che si ripete per 12 stazioni, il quale porta un canestro con all’interno l’occorrente per la crocifissione. Rispetto alla tela di San Giuliano, notiamo una differenza: compaiono le scene della flagellazione e dell’incoronazione di spine, inserite all’interno della scena con Pilato.

 

Un’altra Via Crucis presente nelle chiese vicentine, la cui composizione si deve al modello di Pasqualotto del 1742, è quella conservata nella chiesa di Santa Corona a Vicenza. Questa serie è stata probabilmente realizzata nella seconda metà del Seicento da un autore veneto non bene identificato.

La dott.ssa Mantiero, dopo aver scoperto e studiato quest’ultima serie, ha identificato per noi altri tre cicli pittorici di Via Crucis dipendenti dal modello di San Giuliano del 1742: una di Costantino Pasqualotto – o di qualcuno che lavora con lui nella sua bottega – conservata nella chiesa di Sant’Antonio Abate di Schio; una proveniente dal santuario di S. Libera di Malo e l’ultima realizzata tra la fine dell’XVIII e l’inizio del XIX secolo e conservata nella chiesa di San Brizio di Monteforte d’Alpone.

Noemi Zaupa

Il “Salvatore trasfigurato” di Giovanni Bellini. Intervista ad Agata Keran e a Mons.Gasparini a cura di Katia Brugnolo- 30.03.2021

INTERVISTA AD AGATA KERAN E A MONS. GASPARINI

IL “SALVATORE TRASFIGURATO” DI GIOVANNI BELLINI. RIFLESSIONI E FONTI PER UNA LETTURA ICONOLOGICA DELL’OPERA

Martedì 30 marzo si è tenuta sulla piattaforma Zoom l’intervista alla dott.ssa Agata Keran e a Mons. Gasparini a cura della docente Katia Brugnolo. Attraverso la presentazione del saggio Il “Salvatore trasfigurato” di Giovanni Bellini. Riflessioni e fonti per una lettura iconologica dell’opera, scritto da Agata Keran e recentemente pubblicato a cura di ZeL Edizioni, i due ospiti hanno delineato il profilo storico e artistico di una Vicenza umanista, spiegandoci inoltre come questo periodo culturale abbia influito sulla genesi del dipinto belliniano. Leggiamo, dunque, l’interessante e didattica chiacchierata avvenuta tra l’intervistatrice Katia Brugnolo (grassetto) e i due oratori, la dott.ssa Agata Keran (stampatello) e Mons. Gasparini (corsivo).

“Chiederei ad Agata Keran di guidare il nostro pubblico alla conoscenza delle importanti presenze e simbologie legate a due mondi importantissimi, il mondo della natura e della teologia, all’interno del dipinto di Giovanni Bellini”

La dott.ssa Agata Keran cerca di tracciare una sintesi di queste simbologie e presenze, partendo dalla scansione in tre registri tematici della composizione: lo sfondo paesaggistico, la scena teofanica e il percorso di salita. Nel primo registro vediamo un importante sfondo paesaggistico, fondamentale per la lettura del dipinto, un surplus dato dal maestro: la scena diventa finalmente un tessuto vivente grazie alla natura e alle presenze architettoniche. Nella tradizione iconografica, la grande importanza è data dal registro centrale, la cui centralità rispecchia perfettamente il momento della trasfigurazione sul Monte Tabor: salito sul Monte Tabor con Giacomo, Pietro e Giovanni, Gesù si trasfigura dinnanzi a due grandi testimoni dell’antico testamento, Mosè ed Elia. La scena è di carattere teofanico perché Cristo si svela nella sua natura divina, prefigurando la luce della resurrezione. Infatti, il bagliore della sua veste calamita l’attenzione in modo quasi ipnotico.

Lo sguardo in contemplazione potrà soffermarsi su questa moltitudine di dettagli allegorici diffusi nella composizione: dalla gestualità dei protagonisti, a molteplici elementi paesaggistici ed  allegorici; e soprattutto la staccionata dell’ultimo registro, che in realtà è il primo che noi attraversiamo come osservatori, perché è un invito a salire questa staccionata, di proseguire lungo il colle con la fatica dei nostri passi per salire al Tabor e partecipare attivamente attraverso la preghiera a questo episodio evangelico. In questo caso, la roccia è una roccia parlante, descritta in modo minuzioso, costellata di piante salubri: un vero e proprio repertorio botanico.

L’albero tagliato in primo piano accanto alla figura di San Giacomo ci fa capire quanto è polisemantico un simbolo: allude contemporaneamente sia al futuro sacrificio di Gesù sia al martirio dell’apostolo Giacomo.

 

“La liturgia delle ore: com’era proposta al tempo di Bellini e com’è, invece, proposta al giorno d’oggi?”

La liturgia delle ore è rimasta con la sua scansione. Forse, all’epoca del Bellini, all’inizio del XVI secolo, il discorso era più preciso perché la vita era meno segnata dal movimento e dalle occupazioni. Quindi, il mattino nella cattedrale cominciava con le messe, l’ufficio delle letture, e soprattutto le lodi, che scandivano la vita quando c’era il sorgere del sole. Al tempo, sorgeva la luce, entrava dai grandi finestroni bianchi dell’abside della cattedrale e si accompagnava al momento dell’Inno al Cristo. Al tramonto, analogamente, quando il sole calava ed inondava di luce la cattedrale, si iniziava la liturgia dei Vespri. La cattedrale di Vicenza, fino alla ricostruzione postbellica, era tutta bianca, non c’era questo finto mattone dipinto; quindi la luce entrava con tutta la sua evidenza ed inondava la cattedrale.

“Passando a considerare la commissione vicentina della pala e i passaggi di proprietà, l’enigma sull’opera s’infittì dopo che Edoardo Aslan nel 1956 intuì che la Trasfigurazione di Bellini andava associata alla cattedrale di Vicenza. L’opera, dal 1613, viene rimossa dalla cattedrale e vive parecchi anni di presenza misteriosa nella collezione Farnese. Inoltre, la possibile commissione della famiglia Fioccardo costituisce un ulteriore percorso di ricerca che Agata Keran sviscera fornendo ipotesi basate su ricerche scientifiche. Quali sono dunque gli elementi oggettivamene certi e provanti e quali incertezze, invece, restano ancora da appurare sulla commissione vicentina della pala di Bellini?”

Quando si entra in cattedrale, la seconda cappella sulla sinistra non ha nulla a che fare con la cappella che ospitava la pala del Bellini. Ancora oggi, questa cappella dei Fioccardo si chiama “della Trasfigurazione” e ospita un dipinto che rappresenta il soggetto iconografico della Trasfigurazione. Alla fine del XV secolo, tuttavia, non c’era l’altare Cinquecentesco ad oggi presente perché quest’ultimo era posizionato sulla controfacciata della cattedrale. C’era una pala rettangolare al suo posto, dettaglio che ci fa dunque pensare ad una cappella totalmente diversa da come la vediamo oggi.

Sicuramente, nella cappella Fioccardo, ci doveva essere una pala del Bellini e, se consideriamo l’ipotesi che la pala fosse proprio quella presente ora a Capodimonte, l’intuizione di Aslan è corretta. Tuttavia, i riscontri documentari non sono calzanti, quindi è un paradigma ipotetico. Lavorando intensamente per quattro anni sulle fonti d’archivio letterarie, la dott.ssa Keran arriva a capire che l’intuizione geniale di Aslan deve mantenere un certo grado di incertezza: è plausibile che la Trasfigurazione di Capodimonte sia stata realizzata per la cattedrale di Vicenza ma non abbiamo nessuna prova certa, anche perché lo stesso Bellini dipinse due opere con lo stesso soggetto.

L’ipotetica committenza vicentina era certamente all’altezza di tale portata, simbolo di una Vicenza dell’epoca umanistica straordinariamente interessante, attraversata non solo da astri nascenti attivi in città, ma anche da molti passaggi che hanno dato un grande apporto alla città.

“La non conoscenza dell’iconografia e dell’iconografia religiosa porta oggi a scambiare la Trasfigurazione con la Resurrezione. Ci racconta quando e come è successo a livello universitario?”

Se si vuole capire ed entrare in profondità in un quadro, bisogna capire l’episodio biblico che rappresenta e, soprattutto, il momento di suddetto episodio che l’autore vuole rappresentare. Per esempio, l’Ultima Cena di Leonardo è un momento che l’autore vuole rappresentare: quando Cristo afferma che qualcuno lo tradirà. L’arte, infatti, dà una sua interpretazione teologica dei fatti biblici narrati, perché l’arte non è soltanto descrizione della Bibbia, ma diventa teologia, interpretazione e prende parte attiva: non si entra nell’anima del quadro se non si capisce l’esatto momento biblico rappresentato. Esiste una povertà delle immagini, oggi, che non c’è da sorprendersi se qualcuno confonde il Cristo trasfigurato con il Cristo risorto. Un altro problema è dato dal fatto che ormai quasi più nessuno si ferma ad osservare il quadro, perché si è troppo impegnati a scattare fotografie con il cellulare. In questo modo, l’immagine non riesce ad entrare nel nostro cuore e raggiungere l’anima.

“Lo studio della figura di Alberto Fioccardo, canonico della cattedrale al momento della realizzazione dell’opera di Bellini, apre un’indagine molto stimolante per la lettura del dipinto belliniano sulle bellezze dell’ambiente naturale che circonda Vicenza. Il progetto iconografico da chi può essere stato formulato per la Trasfigurazione?”

La famiglia Fioccardo era di profilo molto alto. Lo stesso Alberto, arcidiacono della cattedrale, era una persona estremamente inserita in quello che era il tessuto umanistico, e non solo, della città a quel tempo ed era attivo nelle cerchie intellettuali, religiose e laiche di Roma e Padova. Le fonti, Memorie di Barbarano, lo descrivono come una figura illustre, uomo estremamente dotto. Dalle indagini, inoltre, è stata messa a fuoco la figura di Battista, il fratello ed erede di Alberto, che ha portato a compimento il disegno della cappella Fioccardo. Tuttavia, dallo studio di Agata Keran, emergono due figure mai prese in esame ma di notevole importanza: Bono di Battista Fioccardo, dottore in legge, e Bartolomeo di Zambono Ovetari, canonico della cattedrale vicentina. Essi sono menzionati direttamente del testamento di Alberto Fioccardo, due nipoti amatissimi che diventeranno portatori di questa eredità legata all’illustre zio.

Nel momento della realizzazione dell’opera di Bellini, Bartolomeo Ovetari era uno dei canonici della cattedrale, documentato in questo ruolo dal 1477 al 1493. Tale status gli consentiva senz’altro di sorvegliare da vicino i lavori della cappella Fioccardo, favorendo inoltre un eventuale contributo dottrinale nella messa a fuoco del programma iconografico della pala d’altare.

A Vicenza c’erano due centri culturali: uno legato alla cattedrale, il Capitolo della Cattedrale dei canonici, e l’altro era Santa Corona dei Domenicani. Entrambi si contendevano un primato religioso e liturgico, sia per la presenza di reliquie al loro interno che per la loro attività di ospitare importanti processioni. Questi canonici vicentini hanno, quindi, sicuramente aiutato un progetto iconografico: in cattedrale era presente la pala della Trasfigurazione e, pochi anni dopo, Santa Corona ha commissionato allo stesso Bellini una pala con il Battesimo di Cristo. Bisogna ricordare che nel 1404 Vicenza era entrata nella Serenissima Repubblica di Venezia, con conseguente arrivo di una forte ondata culturale.

“In copertina del volume c’è un ingrandimento del dipinto di Bellini che mostra due figure, un ebreo e un maomettano, dando occasione all’autrice di ricordare un’odiosa vicenda storica: la cacciata degli ebrei dalla città. Chiederei quindi un breve passaggio su questo punto importante.”

L’importante è quando questi capolavori riescono a raccontare un mondo intero, perché diventano un luogo dove si svela sensibilità di un’epoca, i pensieri, le preoccupazioni; un mondo di fatti luminosi e aspetti oscuri, perché quest’opera conserva anche un punto nero che ha segnato in modo profondo il cammino storico di questa comunità di Vicenza.

Nella copertina vediamo l’interesse per il mondo ebraico ma anche la presenza di un maomettano e di un ebreo, che evidenzia pregiudizi, idiosincrasie, paure e timori dell’epoca. Per capire cosa succede in quel momento, bisogna evidenziare una mostra realizzata recentemente al Museo Diocesano Tridentino: ha raccontato in modo approfondito la temperie antiebraica attraverso un caso trentino di un fanciullo piccolissimo, Simonino di Trento, per la cui l’uccisione è stata calunniata la comunità ebraica di Trento. Lo stesso analogo caso è successo anche nel vicentino: la città di Vicenza, nel 1486, arriverà ad un pogrom nei confronti degli ebrei residenti nel territorio vicentino, con il pretesto di un assassinio rituale accaduto in Val Rovina. Il libro della dott.ssa Keran vuole quindi fornire una valida bibliografia per questi temi presenti nel dipinto, il quale apre una narrazione polifonica e una serie di considerazione su molti temi, anche diversi fra di loro.

Tuttavia, la presenza dell’ebreo errante e del maomettano non può essere accusata di questa ferocia, ma è da considerarsi semplicemente come una coppia polare: l’ebreo si oppone all’opulenza del turco.

Su queste due piccole figure, si apre un mondo difficile da capire in una piccola città come Vicenza, che si configura all’interno della Repubblica Veneta come una città in cui le regole contro gli ebrei sono più rigide e numerose. Infatti, dalla cacciata degli ebrei del 1486, Vicenza non avrà più nessuna comunità ebraica presente in città, come invece continua ad esserci in tutte le altre città del Veneto.

“Le iscrizioni ebraiche nel dipinto richiamano il tema del dialogo interreligioso e chiamano intellettuali dell’epoca molto importanti, quali Ermolao Barbaro, Piero Leoni e Nicola Cusano, che sostengono il dialogo interreligioso in contrasto con la temperie antisemita vicentina.”

Bellini è sempre stato sensibile in questo senso, ma bisogna anche considerare la committenza e il periodo storico e culturale di Vicenza a quell’epoca, subito dopo la cacciata degli ebrei dalla città. Siamo in un momento di grande fermento che si vive anche nella cattedrale: da un lato c’è il canonico, Alessandro Nievo, e dall’altro c’è la famiglia Fioccardo. Quindi, se quest’opera è stata realizzata per Vicenza, vuol dire che c’è stata una tensione, un movimento e una disquisizione attorno a una polemica pubblica circa quest’odio antisemita.

Oltre alle iscrizioni, ci sono anche altri dettagli che si vedono sullo sfondo: nel paesaggio troviamo delle pietre diroccate che sono un’allusione al sepolcreto ebraico, quindi l’elemento ebraico è molto presente. Questo interesse per la cultura ebraica è una breccia molto coinvolgente: la stessa autrice ha proseguito lungo questa linea per arrivare a seguire le orme del Beato Ambrogio Traversali, presente nella filigrana di questa narrazione. Egli è l’iniziatore di questa attenzione nei confronti del dialogo interreligioso ed è una figura fondamentale per l’Umanesimo italiano: vuole tornare alle radici, non solo desidera acquisire i testi della parola greca, ma comincia a coinvolgere i madre lingua che parlano in ebraico – cosa fondamentale per le iscrizioni presenti in questo dipinto.

Nella palla belliniana troviamo Mosè in abito rosso e il profeta Elia. Il primo personaggio tiene fra le mani un cartiglio in cui è riportata la data ebraica “5239”, che equivale al periodo a cavallo tra l’anno 1478 e 1479. È un anno calendariale ebraico che inizia sempre in autunno e, in questo senso, è interessante metterlo a confronto con il paesaggio del dipinto: le specie botaniche che possiamo osservare, come il ciclamino, diventano un indicatore di stagione. La scritta presente sul cartiglio suggerisce il nome di Menahem, che il paleografo indica come la firma dell’autore delle iscrizioni del quadro e lo associa a un maestro madrelingua coinvolto per l’occasione. Per quanto riguarda l’interpretazione della scritta, la dott.ssa concorda con Saracino nello stabilire “Consolatore” come significato ebraico della parola Menahem; mentre l’abbreviazione ebraica “br” potrebbe significare “figlio” in aramaico. Quindi, l’iscrizione si potrebbe tradurre con “Consolatore figlio di Dio”.

A questo proposito bisogna ricordare il passo di San Paolo riferito al Consolatore Gesù: qui si nota la molteplicità della parola “consolazione”, che viene ribadita più volte ed entra nel cuore della preghiera.

La presenza di testi ebraici nei dipinti quattrocenteschi è molto diffusa e qui si vede chiaramente come ci sia un emergere, nel Rinascimento, del mondo ebraico. Questo vuol dire che c’era un dialogo tra il mondo dotto cristiano-occidentale e il mondo dotto degli ebrei. Gli artisti che hanno inserito l’ebraico nelle loro opere sono, specialmente, quelli operanti nell’area veneta ed emiliana. Tuttavia, tutti i rinascimentali sono autori che nella loro competenza hanno latino, greco ed anche ebraico: non sono anticristiani ma vogliono tornare alle radici della fede cristiana, valutando anche le radici ebraiche del cristianesimo.

Noemi Zaupa