Martedì 16 marzo ha avuto luogo sulla piattaforma Zoom l’ultimo appuntamento del corso di formazione “Tra Arte, Restauro e Psicoanalisi”, un progetto pilota ideato dagli Amici dei Musei di Vicenza durante il quale il professore e psicoterapeuta Davide Pagnoncelli e la professoressa Katia Brugnolo ci hanno accompagnato per illustrarci e analizzare il profilo psicologico e artistico di grandi autori.

Protagonista di questo ultimo incontro è René Magritte, nato il 21 novembre 1898 a Lessines (Belgio), in una famiglia di commercianti. Il fatto di appartenere ad una famiglia che fa questo mestiere, lo costrinse a trasferirsi diverse volte durante la sua infanzia: nel 1904 è a Châtelet, città in cui iniziò a seguire un corso di pittura in un atelier. Durante la sua giovinezza Magritte visse dei momenti fondamentali per la formazione del suo carattere e del suo stile pittorico: in primis la conoscenza di un pittore di strada la cui pittura, secondo René, sembrava magica, dotata di poteri superiori. In questo periodo il padre incoraggia fin da subito la sua propensione all’arte, sia quella pittorica che quella orientata alla settima arte dai fumetti, ai libri d’avventura fino appunto ai film thriller, noir e di fantascienza. Tuttavia, il giovane Magritte è segnato precocemente dalla morte della madre, suicidatasi nel fiume Sambre e ritrovata, secondo alcune fonti, con il volto ricoperto dalla camicia da notte. Questa immagine influenzò spesso la sua pittura, nella quale ritroviamo più volte i soggetti con il volto velato, come accade nel dipinto Gli Amanti del 1928, il cui drappo rappresenta sia la sua tragedia personale che la riflessione dei Surrealisti sulla maschera e sull’inganno, che trova dei riferimenti nella produzione fumettistica e cinematografica. Tuttavia, durante tutta la sua vita, René negò costantemente la possibilità che la tragedia della morte della madre avesse influenzato la sua pittura.

Il dipinto Le vacanze di Hegel del 1958 è la testimonianza del fatto che lo stile di Magritte è in perpetua evoluzione. Si tratta di un ritratto mancato del filosofo Hegel, il quale, probabilmente in vacanza e senza ombrello, viene colto improvvisamente da un temporale. Da grande appassionato di filosofia, René mette in crisi la dialettica della razionalità di Hegel (per cui ciò che è reale è razionale e viceversa) creandone una parodia: una sintesi ironica che evidenzia come il mondo sia costantemente in contraddizione con se stesso, in quanto entrambi gli oggetti rappresentati, se capovolti, possono sia contenere l’acqua che allontanarla.

René Magritte frequentò le scuole con scarsi risultati, in quanto preferì il disegno e la lettura di fumetti e libri noir. In quegli anni conobbe una ragazzina di 13 anni, Georgette Berger, che però perse di vista durante la Prima Guerra Mondiale. La incontrerà di nuovo terminata la guerra e la sposerà nel 1919. Durante l’occupazione tedesca la vita del pittore risultò maggiormente movimentata: prima si trasferì di nuovo a Châtelet con la famiglia, si ritira dagli studi e poi si trasferisce a Bruxelles, dove frequenta l’Accademia Reale di Belle Arti. Pochi anni dopo iniziò a collaborare con riviste e come cartellonista e pubblicitario, impiego principale che lo accompagnerà per tutta la sua vita.

L’introduzione biografica, affidata alla docente Katia Brugnolo, lascia il posato alla trattazione del prof. Pagnoncelli che spiega in breve di cosa tratta la psicoanalisi: un progetto di svelamento con lo scopo di riconoscere le strutture interne ed inconsce dell’individuo per giungere alla realizzazione del sé o, in particolare, del sé creativo. Tuttavia, l’artista non sempre è consapevole di utilizzare i tratti di personalità patologici come stimolo per essere creativo. D’altronde, l’arte è una delle porte privilegiate per accedere all’inconscio, l’arte è un sogno, non è una riproduzione della realtà, fa rinascere la realtà e la fa rivivere, quindi l’inconscio è sicuramente artistico e poetico.

La docente Brugnolo prosegue ripercorrendo la carriera artistica del giovane pittore, impegnato fino agli anni ’20 come cartellonista e pubblicitario, che crea opere dal gusto postimpressionista quale Busto di gesso e frutta del 1917. Nel tempo Magritte si avvicina alle avanguardie del Cubismo e del Futurismo approdando a soluzioni stilistiche più sperimentali: nelle opere del 1923 circa, soprattutto dedicate a nudi femminili dalle forme stilizzate come Donna, mostra influenze del Purismo, movimento di pensiero caratterizzato da ordine, razionalità e precisione, che sono alla base anche del dipinto Natura Morta del 1920-21.

Lo stile pittorico di René cambia repentinamente quando il pittore si avvicina all’arte di Giorgio de Chirico, dalla quale rimane sconvolto. Da questo incontro nascono opere fondamentali della pittura di Magritte, quale Il fantino perduto del 1926, che evoca un mondo nuovo in cui gli oggetti perdono la loro identità e ne assumono una nuova, inaspettata. È in questo momento che inizia a realizzare quadri che esprimono un’intenzione nuova: il Ritratto di Georgette con bilboquet del 1926 è infatti caratterizzato da elementi che impongono delle domande all’osservatore, il quale avverte il mistero di questa rappresentazione. In questi stessi anni Magritte allestisce la sua prima mostra personale con circa sessanta dipinti, della quale, però, non riceve recensioni positive da parte della critica.

La morte della madre, continua Pagnoncelli, ha influenzato l’intera esistenza e produzione artistica del pittore, ma non solo. Infatti, la sua vita è condizionata anche da tre esperienze da lui vissute tra il 1900 e il 1909 testimoniate da una serie di elementi: una cassa posta vicino la sua culla, che a lui sembra un oggetto avvolto da mistero; un areostato caduto dal cielo sopra la casa dei suoi genitori e, soprattutto, l’abbigliamento e le manovre dei piloti all’interno; giocare con una bambina nelle cripte di un vecchio cimitero, dove un pittore dipingeva un viale pittoresco. Da quest’ultimo ricordo, Magritte ha appreso che la pittura ha poco a che vedere con la realtà nella sua immediatezza. Quindi, con la sua pittura, René cerca di vedere il mondo in maniera diversa da come gli si vuole imporre, dipingendo infatti immagini il meno conformiste possibili.

Prende nuovamente parola la prof.ssa Brugnolo per analizzare la carriera stilistica di Magritte partendo dal suo dipinto L’assassino minacciato del 1926: qui troviamo infatti elementi ricorrenti nella sua produzione artistica, quali l’uomo con la bombetta, il gioco prospettico della sala e il clima sospeso che si respira nella scena. Gli elementi a cui si ispira per la realizzazione di questa tela sono i fumetti e il cinema d’avventura, le sue più grandi passioni. Da quest’ultime, in particolare dalla sua passione per i film noir, nasce l’opera Il doppio segreto del 1927, in cui la tavolozza è orientata verso una ristretta gamma di colori freddi, le forme sono delineate da contorni precise e il soggetto enigmatico si rifà al tema del “doppio”, tema prediletto da De Chirico.

In che modo un pittore sceglie il titolo del quadro? Domanda che sicuramente ci si è posti una volta nella vita. A darci la risposta è Pagnoncelli, il quale ci informa che spesso Magritte si trovava con gli amici al fine di scovare un titolo per i suoi quadri. Tuttavia, come testimonia la moglie del pittore, quasi mai uno di loro riusciva a soddisfare le esigenze di René. È Paul Nougé l’unico a riuscirci, suggerendo il titolo del quadro L’impero delle luci. Inoltre, il poeta belga sostiene che i titoli dei quadri devono essere poetici, non devono rappresentare il quadro e che il quadro non deve spiegare il titolo, perché il rapporto tra i due è un rapporto poetico, che solo l’arte sa cogliere.

La vita di René Magritte, come quella di quasi tutti gli artisti, è suddivisa per periodi. Brugnolo ci introduce ora in quello caratterizzato dalla produzione di quadri legati al ruolo della parola, come La chiave dei sogni del 1927. Esso è suddiviso in quattro caselle, ove sono rappresentati degli oggetti (una borsa, un coltellino, una foglia e una spugna) accostati però a una scritta che descrive altro, qualcosa di diverso. Tuttavia, l’ultima casella, quella con la spugna, è l’unica ad avere la corrispondenza immagine/iscrizione, rompendo la logicità della sequenza e creando stupore nello spettatore, ormai certo di aver trovato la logica della non-corrispondenza tra parole e immagini. Nel 1930, Magritte dipinge una seconda versione dello stesso dipinto, formato ora da sei caselle e altrettanti oggetti e scritte rappresentate, che però non combaciano tra di loro perché, come sostiene il pittore, “le parole sono parole e le immagini sono immagini”, non devono per forza avere un accostamento semantico.

Un’altra opera di questa serie è Il tradimento delle immagini (questa non è una pipa) del 1929, in cui l’artista sembra invitarci ad abbandonare il rapporto utilitaristico che abbiamo con gli oggetti e con il linguaggio. Da ricordare che Magritte è stato principalmente un pubblicitario, impiego che lo metteva costantemente ad analizzare il rapporto dell’uomo con le parole, le immagini e gli oggetti, constatando quanto la comunicazione spesso sia menzognera. Infatti, è un pittore che ha sempre utilizzato la sua produzione artistica per rendere visibili i misteri del mondo.

Ad inizio degli anni ’30, Magritte inizia a collaborare con André Breton, il quale decide di dedicare un intero saggio al quadro Lo stupro del 1934. Successivamente, la fama e la carriera del pittore iniziano ad evolversi: espone al Palazzo di Belle Arti di Bruxelles, a New York con la sua prima mostra personale, a Londra e al MoMA di New York.

Dopo questo periodo di decollo lavorativo, René decide di cambiare qualcosa nell’approccio alla creazione dell’immagine: ora si concentra nei problemi da risolvere. C’è da dire che Magritte, a differenza di molti suoi colleghi, non vedeva l’arte come uno strumento di autoaffermazione personale, ma un mezzo per risolvere problemi filosofici. A tale riguardo, consideriamo l’opera La condizione umana del 1933. In questo dipinto il problema è la finestra, oggetto utile a decriptare i meccanismi del nostro cervello in relazione alla realtà, collocata dietro ad un cavalletto da pittore. Questa tela obbliga lo spettatore a porsi delle domande, a riflettere sulla realtà delle cose, sula precarietà delle proprie certezze. Qui il fruitore non è in grado di capire se il paesaggio sia visto in trasparenza attraverso la tela, se lo stesso paesaggio sia dipinto sulla tela, o se sia sulla tela o solo fuori dalla finestra. Anche La chiave dei campi del 1936 vuole instillare lo stesso dubbio e le stesse riflessioni nella mente di chi guarda, come La riproduzione vietata del 1937 e Il tempo pugnalato del 1938, nel quale Magritte vuole generare una sensazione di inquietudine e inadeguatezza attraverso la rappresentazione di oggetti di uso comune in contesti inusuali. Ciò accade anche nel quadro L’invenzione collettiva del 1935 e Il modello rosso del 1937. Pagnoncelli aggiunge che Magritte gioca con queste finzioni nei suoi quadri, le esprime in modo artistico e ci invita a riflettere su ciò che sta oltre il significato degli oggetti, del visibile, entrando nel mondo del mistero.

La carriera artistica del pittore subisce una pausa a causa dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale, periodo durante il quale si traferisce prima a Parigi e poi a Bruxelles. In questo nuovo periodo creativo, René, come vediamo nel dipinto The harvest del 1943, riprende lo stile del pittore Renoir, caratterizzato da colori accessi e cangianti, e soggetti femminili portatori di speranza ed erotismo. La produzione degli anni ’40 di Magritte, caratterizzata da un’influenza dello stile surrealista, lo relega nella sezione del Surrealismo durante diverse mostre a cui partecipa, con non poche critiche da parte degli esperti.

A seguito, René Magritte vive il periodo soprannominato “vache”, caratterizzato da un sentimento più aggressivo e feroce, di cui fanno parte diversi dipinti, quale La carestia del 1948, anno in cui dipinge circa una quarantina di dipinti con soggetti inquietanti, mostruosi e macabri.

Un’altra tappa nella carriera dell’artista è quella in cui gli oggetti, per lui, assumono un valore fondamentale. Con il quadro I valori personali del 1952, inizia una serie di immagini con oggetti ipertrofici o dalle proporzioni invertite, che assumo ora dei ruoli e dei significati diversi. Di questo gruppo fa parte anche il dipinto La tomba dei lottatori del 1960, che anticipa la tendenza che spopolerà successivamente, la Pop-art.

L’impero della luce del 1954 inaugura un’ulteriore fase della carriera artistica di Magritte, in cui il vero protagonista è lo scontro tra uomo e natura, realtà e finzione. Le opere di questi anni stanno tutte in bilico tra realtà e artificio, come accade in Il seduttore e in Golconda, entrambi del 1953, e ne Il castello dei Pirenei del 1959, dove la natura diventa ora un rifugio dell’uomo dalla paura.

Verso gli anni Sessanta, alla fine della sua vita, René Magritte realizza alcune delle più importanti opere della sua carriera: La corda sensibile del 1960, in cui possiamo vedere l’incontro tra un bicchiere e una nuvola, un gioco di accostamenti e di ribaltamento delle proporzioni, delle soluzioni spaziali e del peso. Qui arte e paesaggio si incontrano e l’arte si cala all’interno di esso, inaugurando il successivo movimento artistica della Land Art, l’arte creata all’interno e con il paesaggio. A tal proposito la docente Brugnolo ricorda anche il dipinto La grande famiglia del 1963, il cui tema segue lo stesso filo conduttore.

Non è un caso che la prof.ssa Brugnolo ci parli del quadro magrittiano del ’63, perché, come da tradizione ormai consolidata, il suo omaggio per questo ultimo appuntamento del corso di formazione “Tra Arte, Restauro e Psicoanalisi” è la sua opera A tu per tu con René Magritte del 2021, in cui riprende i soggetti dei dipinti di Magritte. A concludere questa conferenza è la poesia scritta dal relatore Pagnoncelli, per  – e su – l’arte di Magritte.

Noemi Zaupa

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