Martedì 19 gennaio si è tenuto il quarto incontro del corso di formazione “Tra Arte, Restauro e Psicoanalisi”. La professoressa Katia Brugnolo e lo psicoanalista e psicoterapeuta Davide Pagnoncelli ci hanno accompagnato alla scoperta dell’arte di Mirò e dei suoi risvolti psicologici. Un tema innovativo e di grande interesse, un progetto pilota, che ha attirato un centinaio di interessati provenienti da tutta la penisola. Dopo i doverosi saluti istituzionali del Presidente Bagnara, la professoressa Brugnolo ci introduce alla scoperta della biografia di Joan Mirò.

L’artista nasce a Barcellona il 20 aprile 1893, figlio primogenito di un orefice. Nel 1900 inizia i suoi studi prendendo anche lezioni di disegno. Nel 1959 ricorderà l’esperienza delle lezioni artistiche come un rito religioso, sacralizzando gli strumenti che adoperava. Continua i suoi studi in arte ed entra in una scuola commerciale; dal 1910 lavora come contabile, dovendo rinunciare alle lezioni artistiche. Un anno dopo però si rende conto che quella vita gli stava stretta e con una lettera informa i genitori di voler proseguire con la pittura. Mont-roig del Camp, città della Tarragona, è un luogo centrale nella vita di Mirò: vi passerà la convalescenza in seguito a un esaurimento nervoso, e vi tornerà durante l’arco della vita. Qui riprende contatto con la natura, altro elemento essenziale nella sua poetica. Tornato dalla convalescenza frequenterà un istituto d’arte, dove imparerà a disegnare ad occhi chiusi. Abilità che gli tornerà utile verso la fine degli anni ’20, quando intraprenderà l’esperienza dell’anti-pittura riscoprendo il valore tattile.

Di qui si intuisce bene il legame con la terra, che per l’artista ha un duplice valore: può significare sia la sua Catalogna, il paesaggio contadino a cui era affezionato, sia la dimensione locale in opposizione a quella universale. A riprova di ciò Brugnolo procede illustrandoci un murales di Mirò, El segador catalan (il falciatore catalano) del 1937, rappresentante un contadino, figura e categoria emblematica della terra natia.

Ma veniamo al momento aurorale della sua produzione, le prime opere vedono come soggetto Mont-roig in termini di “paesaggio interiore”: attrezzi agricoli, terra e contadini, il lavoro rurale come protagonista, l’attenzione ad ogni singolo, apparentemente insignificante, filo d’erba;  in particolare in alcune opere come La casa de la palmera (Casa con palma) del 1918, Villaggio e chiesa di Mont-roig (1919), opere iniziali di Mirò, non è ancora visibile lo stile surrealista per il quale diverrà famoso. Attorno al concetto di Terra in Mirò si condensano anche i temi di femminilità, vitalità, fecondità, come nel dipinto La masovera (1922-23). Nel 1920 Mirò compie il su primo soggiorno a Parigi, dove frequenterà anche lo studio di Pablo Picasso con cui in un’amicizia che avrà durata per tutta la vita.

La masìa (la fattoria) del 1921-22, nonché copertina di questo incontro, ben rappresenta gli anni in cui Mirò frequenta esponenti del movimento surrealista e informale.

Pagnoncelli a questo punto ci inizia alla sua riflessione: la psicoanalisi come strumento e processo di svelamento con lo scopo di riconoscere le strutture interne inconsce dell’individuo per raggiungere la piena realizzazione di sé. La produzione artistica è uno dei mezzi per svelare queste strutture e per canalizzare determinati impulsi. L’artista è colui che vira dalle strade ordinarie per raggiungere la straordinarietà. L’arte è parente stretta del sogno ed è porta privilegiata per giungere all’inconscio. L’arte fa rinascere e rivivere la realtà, è cibo per l’intelligenza emotiva.

Il professore entra poi nel vivo della natura artistica di Joan Mirò, il quale può insegnarci cinque cose: in primis a ragionare meno e a sentire di più; ad essere connettivi con tutto ciò che ci circonda, perfino con un filo d’erba avviene la connessione con la natura e il cosmo; in terzo luogo la capacità di mantenere la nostra identità con determinazione; ci suggerisce maniere differenti di guardare il mondo attraverso connessioni profonde; in ultimo ci insegna che l’arte può essere terapeutica, può curare l’individuo.

Procede poi la professoressa Brugnolo, accompagnandoci alla scoperta delle influenze giapponesi nella pittura di Mirò, in particolare per quanto riguarda la tendenza dettaglistica, visibile nelle opere dell’artista asiatico Hokusai.

Negli anni ’20 inoltrati la pittura di Mirò subisce un’ulteriore evoluzione dovuta all’incontro col cubismo, col dadaismo anche letterario e con la pittura di Paul Klee. Interpreta il colore come pura luce, diventa sostanza incorporea in alcune opere, accanto alla geometria tipica del cubismo, com’è visibile nel dipinto Danzatrice spagnola (1924). Brugnolo procede con La Terre labourèe (Terra arata) del 1923-24, che conclama lo stile originale dell’artista, ibrido tra il surrealismo ed alcuni elementi cubisti. Utilizza una tavolozza suggestiva e vivacissima che ci comunica l’interiorità dell’artista. Lo sfondo non è più quello realistico delle prime produzioni, ma è uno sfondo monocromo, per questo opera emblematica del surrealismo. Procede illustrandoci una serie di dipinti definiti onirici, perché legati al sogno. Tutte opere caratterizzate dallo sfondo monocromo, dall’incertezza degli elementi a simboleggiare l’instabilità tipica del sogno. Tra queste opere Pastorale (1923-24), Contadino catalano con chitarra (1924), Stelle dentro sessi di lumaca (1925), Testa di contadino catalano (1924) e Carnevale di Arlecchino (1924-25). Quest’ultima opera gioiosa in cui Mirò esprime la sua gioia di vivere. Rappresenta una scena di teatro, una sorta di danza fantasiosa. L’elemento della scala, con un orecchio e un occhio attaccati, è elemento che tornerà in Mirò, e rappresenta la capacità di elevazione dell’artista.

Pagnoncelli ci introduce alla scoperta dei risvolti più psicologici di Carnevale di Arlecchino: la conquista surrealista dell’inconscio, un inno di segni e simboli. La scala è elemento di collegamento tra mondi, e sta a significare anche un percorso di crescita ed evoluzione.

Brugnolo prosegue illustrandoci il dipinto La nascita del mondo (1925), che introduce il concetto di primitivismo. Opera realizzata con pigmenti molto diluiti e poche e semplici forme geometriche. Ci comunica l’dea di un mondo in gestazione, e si inserisce appunto nel dibattito sul primitivismo, imperante nell’Europa del periodo. Nel 1927 Mirò torna a Parigi e qui il suo linguaggio muta nuovamente nella direzione dell’anti-pittura: una ribellione dell’artista contro le tecniche pittoriche tradizionali, adotta il collage, gli assemblage, e sposta il suo interesse verso il piano tattile. Di questo periodo è l’opera Collage (1929). Negli anno ’30 Mirò è influenzato anche da Hans Arp, che si cimenta in sculture biomorfe, interpretazioni astratte delle forme biologiche naturali. Mirò si dedica quindi alla realizzazione di oggetti surrealisti, quali L’oggetto del tramonto (1937), una delle produzioni surrealiste più famose.

Effettivamente, come riflette Pagnoncelli su quelle che sono state le modalità di operare di Mirò, vediamo che il primo stadio è più libero, inconscio, il secondo invece attentamente calcolato e curato. Ne è un esempio La nascita del mondo, in cui  l’artista si immerge nella possibilità della libertà creativa e svincolata, prestandosi così al flusso.

Ad inizio anni ’30 produce una serie di dipinti, cosiddetti “selvaggi”, in cui rappresenta elementi plutonici, a evocare una discesa agli inferi: Il pasto dei contadini (1935) è opera di questo periodo, in cui rappresenta quasi una scena teatrale in cui questi personaggi, degli animali e l’ormai tipico contadino catalano, danzano in festa. Altri dipinti sono Due donne, del 1935, e Paysan catalan au repos (Contadino catalano che riposa) del 1936. La sua produzione di questi anni dimostra la passione di Mirò per le pitture rupestri primitive, in particolare della Grotta di Altamira.                                                                                                                                                                                                                      Verso la fine anni ’30 Mirò torna a Parigi e si cimenta nella produzione di nature morte, quali Natura morta con scarpa vecchia (1937), che la critica, per l’atmosfera catastrofica e la potenza visiva, equipara a Guernica di Picasso. Il dramma era il medesimo, la guerra civile spagnola, e l’artista percepisce la necessità di attaccarsi agli oggetti semplici e quotidiani. Pagnoncelli si sofferma sull’elemento della scarpa, elemento molto comunicativo che trasmette il dramma della guerra.

Il primo aprile 1939 le truppe di Franco vincono e Mirò è costretto ad esiliare a Parigi. La situazione politica successivamente si aggrava con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, e rimarrà nella località di mare francese in cui decide di passare l’estate del ’39; il paesaggio della zona lo ispira per una serie di dipinti, che viene reinterpretato insieme alla natura, alla femminilità e alle connessioni cosmiche, di cui sopra. Appartenente a questa serie Numeri e costellazioni innamorati di una donna (1941), Il canto dell’usignolo a mezzanotte e la pioggia mattutina (1940), The passage of the divine bird (1941). Esse rappresentano le ultime opere che questo straordinario artista ci ha lasciato in eredità.

La conferenza si conclude con una gradita sorpresa da parte dei due relatori: il prof. Pagnoncelli omaggiandoci di un suo componimento poetico sull’artista, Mira Mirò, e la prof.ssa Brugnolo mostrandoci una sua opera ceramica ispirata all’arte dell’artista.

 

Federica Gigliozzi

Condividi sui socialShare on Facebook
Facebook
Tweet about this on Twitter
Twitter
Share on LinkedIn
Linkedin
Previous PostNext Post