
Martedì 13 aprile, sulla piattaforma Zoom e in collaborazione con il Museo Diocesano di Vicenza, si è tenuto un incontro online dedicato alla storia e all’arte della Via Crucis, durante il quale la Dott.ssa Manuela Mantiero e Mons. Gasparini, successivamente ai saluti istituzionali del Presidente Sig. Bagnara, hanno tracciato un profilo storico e artistico delle Via Crucis del vicentino, analizzando alcuni esempi presenti nel territorio, al fine di evidenziarne genesi, evoluzione e significati artistici.
La storia della Via Crucis parte dalla storia della pellegrina spagnola Egeria, una scrittrice romana e autrice di un Itinerarium in cui racconta il suo viaggio nei luoghi santi della cristianità, che si era recata in Palestina per cercare di ripercorrere il percorso di Gesù, delineato a partire dal pretorio, fatto giungere fino al luogo del calvario e poi conclusosi alla tomba: era una peregrinatio che questi pellegrini facevano nei santuari a Gerusalemme e che poi, tornati a casa, cercavano di riprodurre, come accade a Roma o nelle sette chiese di Santo Stefano a Bologna. Questi pellegrini, dunque, rappresentano i prodromi della Via Crucis, che diventa importante perché, a partire dall’XI secolo, abbiamo una devozione alla passione di Cristo, quindi al Gesù sofferente in particolare. In questo caso, è San Bernardo uno dei principali precursori della passione redentrice di Gesù. Tuttavia, è San Francesco d’Assisi che diede il via alla Via Crucis, questo percorso in ricordo alla passione di Cristo. Questa sua devozione principale la vediamo nel Crocifisso di Santa Chiara d’Assisi, dove è raffigurato mentre bacia i piedi di Cristo. Anche nella Croce di Trevi del 1315 circa, il Santo è raffigurato ai piedi di Cristo, che quasi sembra berne il sangue che esce dalle ferite.
Nel 1233, i frati francescani saranno stabilmente presenti in Terrasanta: forse è questo il momento della genesi della Via Crucis. Inoltre, anche le successive crociate renderanno importante questa devozione al pellegrinaggio e alla Via Crucis a partire dal XII secolo.
Questa realtà diventa parte anche della pietà del mondo cristiano: inizialmente c’era una devozione alle cadute di Cristo durante la sua passione, fissate ora nel numero di 3. L’altra devozione che incontriamo è quella per gli spostamenti di Gesù, secondo la quale i fedeli, il Venerdì Santo, avrebbero dovuto visitare tante chiese quanti erano gli spostamenti riconosciuti.
Beato Alvaro de Zamora è il primo che dà vita a una Via Crucis articolata: nella città di Cordoba fa costruire una serie di cappelle che vanno dalla preghiera di Gesù nell’orto degli ulivi fino alla deposizione nel sepolcro. Egli è sicuramente l’ispiratore della Via Crucis, anche se quest’ultima verrà realizzata sicuramente molto più tardi: solo alla fine del Cinquecento, infatti, incontriamo in Spagna la Via Crucis composta da 14 stazioni, la quale si sposterà in Sardegna nel 1616 per arrivare poi nella penisola italica. La diffusione della Via Crucis è da attribuire da Leonardo da Porto Maurizio, un frate minore riformato francescano, ideatore e promotore della pratica della Via Crucis, che ne realizzò una al Colosseo su commissione di papa Benedetto XIV: iniziò così una tradizione annuale di Via Crucis al Colosseo. Sarà proprio questo papa che, con una bolla papale, definirà la Via Crucis con 14 stazioni. Questa pratica, tuttavia, non sarà gradita nel nord Europa: in Austria, Germania e nel Tirolo continueranno a mantenere una tipologia di Via Crucis composta da un numero minore di stazioni, in quanto si attenevano al Vangelo e in quest’ultimo non sono presenti alcuni episodi riconosciuti invece dalla tipologia di Via Crucis adottata dal papa.
Un caso particolare è riscontrabile nella chiesa di Santa Maria di Brancafora o Pedemonte: c’è una Va Crucis che rispetta le tipologie del mondo austriaco e, quindi, è difficile definire se questa sia stata fatta prima della bolla di Benedetto XIV o in un momento successivo, quando il giansenismo rifiutava i seguenti episodi della Via Crucis introdotti dal papa: Gesù nell’orto degli ulivi con gli apostoli e l’angelo con il calice in mano, la flagellazione del Cristo alla colonna e la condanna di Pilato.
La data del 1742, anno in cui Benedetto XIV emana la bolla papale definendo la Via Crucis, non a caso corrisponde alla data della prima attestazione di rappresentazione della Via Crucis a Vicenza: si tratta del ciclo di 14 telette di Costantino Pasqualotto ancora conservate nella chiesa di San Giuliano a Vicenza.
Costantino Pasqualotto, nato nel 1681, è definito come il maggiore artista presente a Vicenza dalla cronaca del tempo. Tuttavia, ebbe esiti altalenanti. La sua pittura si rifà sicuramente a Giulio Carpioni, anche se viene mediata dall’arte di Giovanni Antonio de’ Pieri, artista verso cui Pasqualotto guarderà per tutta la vita, soprattutto dagli anni ’20 del Settecento. Nel Transito di San Giuseppe vediamo alcuni suoi stilemi compositivi che si ripetono costantemente: il candore nei volti delle donne e i pomelli rosati delle gote. Tuttavia, nella sua produzione non mancano interessanti sperimentazioni, come accade nella Via Crucis di San Giuliano: nella rappresentazione di queste nuove stazioni si cimenta prima ancora di quei cicli veneziani di Tiepolo. Quindi, il modello di Via Crucis di Pasqualotto per San Giuliano è uno tra i primi realizzati in Veneto, ripreso a più mandate da molte chiese cristiani negli anni successivi.
Le sue tele della Via Crucis sono animate da accordi luminosi brillanti e la collocazione della croce è studiata in modo da creare un certo movimento in ogni singolo episodio. La definizione dei contorni è precisa e Pasqualotto, infatti, dedicata una particolare attenzione alla ricerca degli accostamenti cromatici. La stazione con una qualità pittorica maggiore rispetto alle altre è probabilmente la prima, in cui si può notare il cromatismo cangiante tipico di Pasqualotto. La cosa interessante di questa serie è l’ideazione dei soggetti, che poi andranno ripetendosi in moltissime altre chiese del territorio: altri artisti ripeteranno i modi compositivi di Pasqualotto, in quanto egli aveva creato il primo modello di riferimento della via Crucis.
Costantino Pasqualotto, secondo l’attribuzione di Mario Saccardo, realizza la prima Via Crucis che si avvicina alla sua precedente per la chiesa di San Giuliano. Questa serie viene realizzata nel 1747-48 per la chiesa parrocchiale di Povolaro e poi regalata da quest’ultima alla Cattedrale di Vicenza in occasione della sua riapertura dopo la Seconda Guerra Mondiale, durante la quale molte opere d’arte presenti all’interno erano state distrutte.
In questo ciclo pittorico notiamo un’evoluzione della mano di Pasqualotto: c’è una maggiore libertà espressiva, le pennellate sono più rapide e veloci, la resa drammatica è più incisiva, il tono narrativo è più scorrevole e il cromatismo è più sciolto, non c’è più il contorno preciso di San Giuliano. Se si confrontano le prime stazioni dei due cicli si osserva, infatti, una resa drammatica e una resa cromatica differente. La seconda serie è più elementare e sintetica ma con un’assoluta esaltazione della drammaticità.
Una novità del secondo ciclo è data dall’introduzione di un personaggio che si ripete per 12 stazioni, il quale porta un canestro con all’interno l’occorrente per la crocifissione. Rispetto alla tela di San Giuliano, notiamo una differenza: compaiono le scene della flagellazione e dell’incoronazione di spine, inserite all’interno della scena con Pilato.
Un’altra Via Crucis presente nelle chiese vicentine, la cui composizione si deve al modello di Pasqualotto del 1742, è quella conservata nella chiesa di Santa Corona a Vicenza. Questa serie è stata probabilmente realizzata nella seconda metà del Seicento da un autore veneto non bene identificato.
La dott.ssa Mantiero, dopo aver scoperto e studiato quest’ultima serie, ha identificato per noi altri tre cicli pittorici di Via Crucis dipendenti dal modello di San Giuliano del 1742: una di Costantino Pasqualotto – o di qualcuno che lavora con lui nella sua bottega – conservata nella chiesa di Sant’Antonio Abate di Schio; una proveniente dal santuario di S. Libera di Malo e l’ultima realizzata tra la fine dell’XVIII e l’inizio del XIX secolo e conservata nella chiesa di San Brizio di Monteforte d’Alpone.
Noemi Zaupa